La storia di un
musicista eclettico che dagli Sweeney’s Men ai Modena City Ramblers, passando
attraverso i Pogues, ha percorso la storia del folk britannico
C’è stato un periodo,
gli anni ottanta, in cui la folk music si identificava coi Pogues. Un dialogo
tra due curiosi e appassionati di musica che si incontrano nel loro negozio
preferito avrebbe potuto avere, di conseguenza, il seguente e prevedibile
svolgimento:
-
Ciao,
tu che genere musicale preferisci?
-
Io,
ascolto il folk.
-
Ah,
quindi i Pogues? Sì, sono molto bravi.
I Pogues in effetti
avevano avuto in quegli anni uno straordinario successo: in tutta europa
nascevano irish pub con musica dal vivo, giovani musicisti si riunivano per
dare vita a nuove formazioni. E tutto questo all’insegna della poguesmania. In
Italia, per esempio, i Modena City Ramblers sono nati proprio così, dopo un
viaggio in Irlanda. A dir la verità, i Pogues irlandesi non lo sono per niente,
per quanto la loro musica abbia recuperato gli aspetti più caciaroni della
musica di strada o dei pub delle ore più tarde, quelle delle grandi bevute.
Personaggio simbolo dei Pogues rimane indubbiamente Shane McGowan, che seguiva
lo stereotipo del poeta “maledetto” di ottocentesca memoria: nelle copertine
dei dischi appariva costantemente privo di facoltà mentali, un bicchiere di
whisky in una mano, una sigaretta nell’altra. E piaceva. Si vede che un
artista, se non è così, non suscita entusiasmi. Gli esempi, d’altronde, si
sprecherebbero. Va aggiunto che questo tipo di personaggio, per alimentare il
mito, non dovrebbe avere vita troppo lunga, altrimenti che mito sarebbe? Eppure
il nostro Shane gode tuttora di ottima salute: che fosse solo un grande attore,
magari morigeratissimo nella vita privata? Se così fosse, verrebbe da pensare
che troppi fans hanno danneggiato il loro fegato inutilmente.
Il folk, tuttavia,
non é nato coi Pogues: anzi, chi ha vissuto gli anni sessanta tende a vedere
nei Pogues una deriva del movimento folk, un impoverimento rispetto alla
creatività e alla raffinatezza degli esordi. Quando ebbi l’occasione di
ascoltare i primi album dei Pogues, non ne trassi positive sensazioni: dietro
quelle sonorità così umorali trovavo energia sì, ma poco più. I nomi dei
musicisti mi erano sconosciuti, tranne uno: Terry Woods. Dato il contesto, mi
convinsi inizialmente che si trattava di un omonimo, il suo era in fondo di un nome alquanto diffuso. Non mi
sfiorava neppure l’idea che quel Woods era proprio il fondatore degli Steeleye
Span e, prima ancora, degli Sweeney’s Men. Che fosse proprio lui, l’ho scoperto
in tempi relativamente recenti, con mio grande stupore. Che ci faceva un tipo
come Terry, con la sua esperienza, in una band di ragazzini? Per comprenderlo,
si deve ripercorrere le tappe della sua non breve carriera.
Il primo strumento fu
un banjo acquistato quando aveva 14 anni, poi conobbe una ragazza, Gay, insieme
alla quale fondò il suo primo gruppo, gli Apprentice Folk, nome che fu poi
abbreviato in The Prentice Folk. Ma è nel 1967, dopo le prime esperienze
giovanili, che inizia la sua carriera professionale: in quell’anno entrò
infatti a far parte della band irlandese degli Sweenewy’s Men. Il curioso nome
di questa band ha un’origine letteraria: l’uomo di Sweeney è infatti il
protagonista del romanzo di Flann O'Brien "At Swim Two Birds". Gli
altri componenti di quel gruppo erano Andy Irvine (voce, mandolino, chitarra,
armonica) e Johnny Moynihan (voce, flauto, bouzouki), tutti musicisti destinati
a divenire famosi. Moynihan fu il primo a utilizzare il bouzouki nella musica
irlandese, così come Andy Irvine il mandolino: il risultato fu un raffinato e
creativo lavoro di rilancio del folk irlandese che, rispetto alla sobrietà un
po’ rudimentale dei Dubliners e dei Clancy Brothers, diventò un genere
esportabile nel mondo proprio per la sua forza innovativa. Il trio ha
registrato il primo, omonimo, album nel 1968, poi Andy Irvine decise di
abbandonare il progetto per viaggiare nell’Europa dell’est e trovare nuove idee
che confluiranno nel repertorio dei Planxty. Andy venne sostituito dal
chitarrista elettrico Henry McCullough che in quegli anni era in tour con Jimi
Hendrix. Forse quest’ultimo non era la persona più adatta a rinvigorire gli
Sweeney’s, il mondo da cui proveniva era fatto di grandi platee e contratti
milionari: fu così che dopo pochi mesi, senza aver lasciato traccia di sé (non
vi sono registrazioni live o in studio che testimoniano la sua presenza) decise
di andare a suonare nientemeno che con Joe Cocker. Di fatto, dunque, gli
Sweeney’s Men erano un duo. Essi arrivarono a pubblicare nel 1969 un secondo e
ultimo album dal titolo “The Tracks of Sweeney”. Entrambi gli album sono stati
poi ripubblicati nel 1992 sul CD "Time Never Was Here 1968-69".
Conclusasi
l’esperienza degli Sweeney’s, Terry fece un tour in Irlanda con un gruppo
chiamato Orphanage (orfanotrofio) che comprendeva anche Phil Lynott e Brian
Downey. Ma l’esperienza durò poco, erano anni intensi nei quali si
sperimentavano senza sosta nuove strade. Insieme a Gay, che nel frattempo era
diventata sua moglie, egli andò allora in Inghilterra dove incontrò Ashley
Hutchings, che suonava in quel periodo coi Fairport Convention. Hutchings
voleva formare una band che comprendesse i tre vecchi componenti degli
Sweeney’s Men, ma Irvine e Moynihan rinunciarono. Tra i tre non c’era più molta
sintonia e le loro idee divergevano: ho un ricordo preciso in mente, che si
riferisce agli anni ottanta, quando invitammo Andy Irvine a suonare a Genova.
Quando egli vide un disco dei Pogues sul letto della camera dell’amico e
giornalista Antonio Vivaldi, fece una smorfia di disgusto che all’epoca non
avevo compreso: la musica di questo gruppo, del quale era entrato a far parte
proprio Terry Woods, era qualcosa di sostanzialmente diverso dal percorso
artistico di Andy. La sua rinuncia al progetto di Hutchings è ora, alla luce di
queste distanze, più comprensibile. A quel progetto tuttavia Terry aderì
insieme alla moglie Gay, a Tim Hart e Maddy Prior, una coppia che era diventata
anche un sodalizio dopo la pubblicazione di “Folk Songs of Old England, Vol.1”
(1968). Il quartetto si chiamò Steeleye Span e pubblico il primo e memorabile
album nel 1970: "Hark! The Village Wait!".
Anche in questo caso però il gruppo si divise dopo
questo primo album, troppo difficile era conciliare la diversità di vedute e
non si può dire che Terry sapesse adattarsi alle situazioni. La coppia formata
da Tim Hart e Maddy Prior continuerà l’esperienza degli Steeleye Span, che oggi
sono ancora un gruppo molto creativo e seguito da molti fans. Gay e Terry
diedero invece vita alla Woods band che, inizialmente era un gruppo, ma nella sostanza
era un duo che utilizzava differenti musicisti in occasione dei tour e delle
registrazione in studio, tanto che alla fine molti dischi erano firmati
semplicemente da Gay e Terry Woods. I dischi in vinile di questa coppia non
sono oggi di facile reperibilità e hanno un certo valore commerciale, per
quanto molti di essi siano stati ristampati su CD. Uno di essi, “Backwoods”
(1975), mi è stato regalato da un amico: si tratta di un disco che ho trovato
straordinario per energia, qualità compositiva e originalità.
Nel 1980 Terry e Gay si separarono e lui per quasi
cinque anni uscì dalle scene musicali quando, in un giorno di primavera, arrivò
la telefonata di Frank Murray. Frank era il tecnico del suono al tempo
dell’uscita dell’album d’esordio degli Steeleye Span e in seguito era diventato
produttore dei Pogues, un gruppo emergente che aveva suscitato l’entusiasmo di
molti proponendo una vitaminica e coinvolgente roots music. A Terry venne
proposto di entrare a far parte dei Pogues, lui accettò con entusiasmo e dal
Settembre 1985 iniziò una collaborazione che si sarebbe interrotta otto anni
dopo, quando il gruppo entrò in crisi in
seguito alla partenza del leader Shane McGowan. L’ultimo album con i Pogues
(“Waiting for Herb”, 1993), non fu apprezzato dalla critica. Del periodo
trascorso nei Pogues ricordo in particolare il concerto live tenutosi a Leysin
nel 1991, in Svizzera, che è stato recentemente ristampato in doppio vinile su
etichetta Earmark (una joint venture della Sanctuary Records). Di quel
concerto, peraltro malamente registrato, mi rimane impresso nella memoria il
coinvolgente dinamismo di certe esecuzioni così come l’estrema rozzezza di
alcuni arrangiamenti. Mi sono sempre domandato se Terry non fosse un corpo
estraneo a quel caotico circo viaggiante che erano i Pogues.
Dal 1993 Terry Woods iniziò un sodalizio artistico con
Ron Kavana, già collaboratore dei Pogues, con il quale fondò il gruppo The
Bucks, il cui album d’esordio "Dancin'
to the Ceilí Band" vide la luce nel 1994. Ron Lasciò The Bucks
subito dopo la pubblicazione di tale album ma la collaborazione tra i due
musicisti non finì qui e Terry svolse una parte importante nel progetto LILT
dedicato ai bambini: il ricavato della vendita del disco omonimo andò devoluto
interamente in beneficenza.
La carriera di questo eclettico musicista ebbe una
nuova svolta dopo l’incontro con Dave Brown, insieme al quale rifondò la Woods
band: come tutte le rinascite e le reunion, anche questo evento suscitò la
curiosità e l’entusiasmo degli appassionati. Il suono della nuova Woods band
condensava tutta la carriera di Terry: oltre a una ventina di nuove
composizioni, nel repertorio di matrice
irlandese figurano “The Irish Rover” (dei Pogues), “Waxies Dargle”
(Sweeney’s Men), Finnegans Wake (Dubliners). Nel 2002 il gruppo entrò in sala
di registrazione per incidere il primo CD del nuovo corso il cui titolo è
“Music from the Four Corners of Hell”. Nella formazione figura un giovane
cantante ventiduenne, Shane Martin, oltre a Dave Browne (acoustic &
electric guitars), Terry Woods (acoustic guitar, banjo, bouzouki, cittern,
mandolin, concertina, background vocals), Paul Harrigan (whistle, Uillean
pipes, accordion), David "Sparky" Hughes (keyboards, electric bass,
background vocals), Steve Browne (drums, percussion, background vocals). Il
disco è godibile e ritengo meriti un posto fisso nella discografia degli
appassionati del genere.
Ma arriviamo
all’ultima tappa di questo lungo viaggio: l’Italia. Terry Woods incontrò i
Modena City Ramblers e trovò simpatici quei ragazzotti poguesmaniaci ma
alquanto sprovveduti in fatto di conoscenza della musica tradizionale. Da
quell’incontro è iniziata una collaborazione e il 3 novembre 2006 è uscito l'album “Dopo il
lungo inverno”, prodotto da Peter Walsh, nel quale Terry è fautore di alcuni
arrangiamenti. Poi, nel febbraio 2007, i
Ramblers tornano in studio insieme a Terry, sempre presso l'Esagono di Rubiera,
per incidere il loro primo disco destinato al mercato straniero. Si arriva così
all’ultima fatica dei Modena City Ramblers “Bella Ciao” (Italian Combat Folk
for the Masses, 2008), un album registrato in due session diverse
(settembre 2006 e febbraio 2007) e pensato per un pubblico internazionale. Terry Woods in questo caso, oltre a scegliere
il materiale da reincidere adatto a un pubblico straniero, ha tradotto in
inglese anche alcuni brani. L’intensità con cui ha suonato il mandolino in
composizioni quali “Music of the time” e “El Presidente” rappresenta forse la
migliore dedica a Luca Giacometti, il musicista dei “Modena” morto in un
incidente stradale proprio poco prima della pubblicazione di questo disco e con
il quale aveva instaurato un rapporto di grande amicizia e di stima.