In
aperto accordo,: la chitarra nella musica bretone
L’accordatura aperta
o, se preferite, open tuning in
inglese, è una tecnica, un modo di suonare la chitarra. In verità, in quel
grande crogiuolo di idee musicali che è la Bretagna, nessuno si era mai sognato
di usarla. Altri sono infatti gli strumenti radicati nella tradizione: il biniou ad es., oppure la bombarda, l’accordeon; le sonorità tipiche della chitarra, strumento dai
fianchi abbondanti e dalla prominente tastiera, erano lontanissime dai gusti degli
artisti che percorrevano le strade e le piazze di questa regione a nord ovest
della Francia. Pensare ad un connubio sarebbe stato azzardato. Ma nel 1975
accade qualcosa che merita di essere raccontata. Soig Siberil, bretone di
Parigi con madre algerina, decide di stabilirsi in Bretagna nel 1973 a 23 anni;
è a quel punto che incontra alcuni musicisti del gruppo Sked alla disperata
ricerca di un chitarrista e Soig, le cui conoscenze non andavano allora oltre
quella di Bob Dylan, decide un po’ incautamente di accettare. Ma i risultati iniziali
non possono certo definirsi brillanti. Due anni dopo però, nel 1975, si
verifica un episodio inaspettato: per la precisione si tratta di un incontro,
quello con l’irlandese Michaël
O'Donnell, che lo introdurrà nel mondo delle accordature modali per chitarra,
le cosiddette accordature “aperte”. Tra esse c’è la celebre DADGAD (dal
nome delle note dell’accordatura delle sei corde): ebbene, è proprio grazie a
questa tecnica che la chitarra entra e, fatto ancor più stupefacente, viene
accolta nella musica bretone da un pubblico entusiasta. Sapevamo di strumenti
un tempo in uso nelle tradizioni di una cultura e poi scomparsi, ricoperti
dalla polvere del tempo, ma mai il contrario, cioè di uno strumento adottato ex
novo.
Perché dunque
l’accordo aperto ha permesso alla chitarra di varcare la soglia di una cultura
cui non apparteneva? A parole è difficile rispondere, occorre mettersi lì,
ascoltare come alcune corde, scordate, suonino a vuoto, producendo delle
dissonanze simili a quelle della bombarda ed un effetto di bordone vicino a
quello degli strumenti ad ancia doppia. Su questo sfondo leggero, le corde
soliste imprimono fraseggi cristallini che sembrano giungere dalle profondità
della cassa armonica. La simbiosi è realizzata perfettamente. Provate ad
ascoltare Gitar, il cd pubblicato nel
2001: il suono delle chitarre (in questo caso Soig è accompagnato da Jean Felix
Lalanne) è tanto leggero che le gavotte
ed i ridé, balli tradizionali
bretoni, sembrano portati dal vento; e in quello stesso vento si avverte l’eco
di altri strumenti, più lontani ed esotici, come la derbuka,
il karkabou ed il bendïr, che utilizzano le stesse
accordature modali. A dispetto di coloro che intendono la musica solo come mezzo
di statica conservazione di una cultura, è emozionante scoprire la dinamica che
fa di quella stessa cultura un terreno di incontro. Senza forzature, l’accordo
aperto che, che da un certo punto di vista è un fatto puramente tecnico,
rappresenta simbolicamente l’aperto accordo con il quale la musica unisce gli
uomini invece di dividerli. Nasce così il titolo di questo articolo. Siamo
certi del resto che Soig Siberil le sue origini algerine non le ha mai
dimenticate, ma questa è una domanda che potremmo rivolgergli nell’intervista che
“Traditional Arranged” pubblicherà in uno dei prossimi numeri. Nel frattempo,
preparare il palato significa ascoltare PSG,
il nuovo cd di chitarre del trio Patrick Marzin, Soig Siberil e Jean Charles
Guichen (cd recensito su questo stesso numero della rivista) che imprime una
nuova verve al suono della chitarra.
Ma qui c’è un’atra storia da raccontare: è quella degli epigoni di Soig
Siberil, quella degli allievi che hanno superato il maestro.
PSG è un punto d’arrivo, ma sarebbe meglio dire una tappa
importante perché, a partire da essa, nuove strade si aprono. Insomma, potremmo
definirlo parimenti punto di arrivo e di partenza. D’arrivo perché Jean Charles
Guichen ad es. è un chitarrista giovane, allievo di Soig, che ha prodotto uno
splendido cd da solista, uno in quartetto e molti con un gruppo chiamato Ar Re
Yaouank: la traduzione del nome è “i giovani”, così il pubblico chiamava
quattro energumeni, vestiti con giubbe di cuoio, che all’inizio degli anni
novanta sono sbarcati sulle scene musicali. Essi hanno fatto così presa sulle
forze vive della gioventù bretone che, in occasione delle fest noz, era frequente vedere ragazzini ballare tutta la notte al
ritmo indiavolato impresso dal gruppo. Stiamo usando i verbi al passato perché
oggi gli Ar Re Youank non esistono più (purtroppo): Jean Charles ha deciso di
intraprendere una strada musicale più riflessiva, acustica, ma non per questo
meno vibrante. Per quanto può valere il giudizio soggettivo di un critico, mi
sentirei di definire Mémoire vive, il
cd che Guichen Quartet ha pubblicato
agli inizi del 2002 per i tipi della Coop Breizh, come un capolavoro. Il punto d’incontro con
Soig e Patrick Marzin nasce da una scommessa: è possibile fare ballare il
pubblico delle fest noz con sole tre
chitarre? Razionalmente la risposta sarebbe “no”, la chitarra infatti non ha la
ritmica, indispensabile in uno spettacolo live, che possiedono ad es. la
batteria, il basso, l’accordeon o la cornamusa. Invece i nostri tre vincono la
scommessa con una strategia così fatta: immaginate di essere sdraiati su un
divano per ascoltare un qualunque brano di PSG,
l’inizio sarà prevedibile, la musica della danza segue il suo corso sul ritmo
tradizionale, fatto di riff ricorsivi, circolari: è quello che serve a mettere
in azione i ballerini, i vostri muscoli sono rilassati e immaginate i passi da
seguire la sera del ballo; ma, a un certo punto, quanto la danza è avviata ed
il ritmo stabilizzato, i tre chitarristi si contorcono, suonano con un’unica
voce in uno stretto silenzio, ogni corda toccata diventa una scarica di energia
creativa. Vi ritrovate in piedi: su quel divano non vi siederete più. Ecco il
punto d’incontro: la raffinatezza di Soig ha trovato lo slancio di Jean
Charles, immaginiamo i due che si guardano durante le prove, che si fanno un
cenno d’intesa, si capiscono. Creare musica è arte, euforia.
La chitarra open tuning ha naturalmente oggi molti
rappresentanti e, tra questi, vorremmo citare anche Gilles le Bigot, autore di
un cd particolarissimo da pochissimi giorni sul mercato: Empreintes. Gilles è in certa misura l’erede di Soig siberil se si
considera che nel 1986 ha preso il suo posto nel gruppo Kornog. Attualmente è
chitarrista degli Skolvan ma ha suonato con i gruppi più in voga quali Barzaz
ed Heritage de celtes.. Vive tra i pescatori di Douarnenez, dove in un piccolo
retrobottega di Place des Pecheurs ha sistemato il suo studio, con chitarre e
strumenti vari addossati al muro, più qualche apparecchio di registrazione. La
novità Empreintes è il primo lavoro
che Gilles produce a suo nome, dieci brani in tutto tra cui otto sue
composizioni: alcune possiedono un grande spessore evocativo come Kerjacob, dove la chitarra ed il
clarinetto di Bernard Le Dreau portano la mente di chi ascolta nelle vie più
segrete della nostalgia, nei luoghi dell’infanzia, che per Gilles corrispondono
al giardino della casa paterna in cui si potevano mangiare pere con un sapore
speciale. Ma vorremmo parlare di Eithne Ni Uillachain, cantante del gruppo
spagnolo La Lugh e amica di Gilles. Eithne è morta nel Maggio del 1999 poco
dopo aver registrato un brano strumentale che Gilles Le Bigot aveva composto ed
eseguito in un disco degli Skolvan (Swing
and Tears per l’esattezza). Il brano strumentale si chiamava Les pecheurs (i pescatori), nella sua
versione vocale Eithne lo trasforma in una ballata (The Fisherman) dal sapore irlandese che esalta e confonde in pari
tempo i nostri sensi: la voce di questa ragazza è vellutata e profonda, tormenta
fino a strappare le corde della nostra sensibilità. E’ una voce viva, è un
sogno?. Non lo è: Gilles infatti ha recuperato la banda originale ed ha
rimasterizzato il nastro, costruendo una musica nuova intorno alla sua voce,
con un arrangiamento di chitarra in accordatura aperta per cui non sarebbero
sufficienti aggettivi. La bellezza nell’arte annulla le distanze tra passato
presente, Gilles ci commuove con qualcosa che è autentico ma che non esiste
più. E’ una condizione inaccettabile: vorremmo che ciò che amiamo esistesse per
sempre.